Feltrinelli, 2004.
Euro 15,00; pp.129*.
Dopo aver tracciato un panorama delle cause del disagio giovanile nei primi due capitoli, gli autori entrano nel merito del lavoro proposto ed enunciano la loro tesi. Questa si potrebbe riassumere nei seguenti termini: viviamo in un tempo pervaso da un senso di impotenza e incertezza che ci spinge a rinchiuderci in noi stessi, a vivere il mondo come minaccia, alla quale bisogna rispondere “armando” i giovani.
Il termine “passioni tristi” è di B. Spinoza. I problemi dei giovani sono comunque il segno visibile della crisi della cultura moderna fondata sulla promessa del futuro come redenzione laica. “La nostra epoca scopre le falle del progetto della modernità (rendere l’uomo capace di cambiare tutto secondo il suo volere) e resta paralizzata di fronte alla perdita dell’onnipotenza” (p. 127). Pertanto adesso, affermano Benasayag e Schmit, “gli adulti temono davvero l’avvenire e quindi cercano di formare i loro figli in modo che siano “armati” nei suoi confronti”(p. 43).
Così la nostra società diventa sempre più dura: ogni sapere deve essere “utile”, ogni insegnamento deve “servire a qualcosa”, non ci si può permettere il lusso di fare o imparare a fare cose che non servono. Allora gli sforzi di tutti, insegnanti, genitori, allievi, sono protesi “alla sola garanzia di sopravvivenza in questo mondo pieno di pericoli e di insicurezza, caratterizzato dalla lotta economica di tutti contro tutti” (45). Nella logica di questa selezione “naturale”, un infermiere è uno che “non era in grado di fare il medico”, perché ha perso la gara per arrivare in cima.
In questa logica, degna come giustamente fanno notare i due studiosi, più di un allevamento industriale che di una società civile, gli inni alla “differenza” e alla “diversità”, rimarranno dichiarazioni vane e illusorie, alle quali, evidentemente, non crederà nessuno finché non verrà garantito il rispetto della diversità dei percorsi individuali. E’ questo lo schema di riferimento del ragazzo che, ad un certo punto, aggredisce la sua insegnante. Per ulteriori chiarificazioni in merito riascoltare l’album dei Pink Floyd The Wall (1979) con testi a fianco.
I nostri autori non si limitano semplicemente ad un’analisi tout court - che comunque è valida e non scontata, ricca di spunti già di per sé. Per uscire da questo vicolo cieco, sostengono, si devono mettere in opera vari accorgimenti che sono possibili ed a portata di mano. In definitiva si tratta di riscoprire: la gioia del fare disinteressato, la gioia dell’utilità dell’inutile, il piacere del coltivare i propri talenti senza fini immediati. Ciò avviene in campo psichiatrico creando quella clinica del legame che va in controcorrente rispetto alle spinte dell’individualismo imperante anche in campo pedagogico-educativo. Invece, a livello meno specialistico, questa proposta porterebbe alla riscoperta dell’altro, alla gioia per il rispetto dell’altro (e non solo al pragmatico e politically correct ‘rispetto dell’altro’ che sa tanto di indifferenza, che è l’anticamera della violenza). Questa è la strada che condurrebbe giovani e società ad inquadrare l’importanza della gratuità e del dono come dimensione unica di autorealizzazione e pertanto, in definitiva, l’importanza del servizio come fine e della virtù come strumento per realizzarlo.
* F. Romano, in Fogli, n. 322 (luglio 2004), pp. 37-38.
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