La teologia del corpo fu presentata dal grande Papa nelle udienze del mercoledì, dal 1979 al 1984, durante i primi anni del suo pontificato. L’autore ne narra la genesi, con riferimenti precisi agli inizi del ministero di Karol Wojtyla tra fidanzati e giovani sposi, cercando di evidenziare la portata fortemente innovativa di questo insegnamento in seno alla dottrina morale cattolica. Quest’ultima ne esce infatti completamente rinnovata e pronta ad affrontare le delicate sfide dei nostri giorni: “Sessualità e santità… Con Giovanni Paolo II, quel che appena si sarebbe osato pensare diventa un’evidenza: questa due dimensioni della vita umana e cristiana sono definitivamente associate. La sessualità è di essenza divina: non è un residuo della nostra animalità. Forse sarà quest’affermazione che fra poco diventerà la “rivoluzione wojtyliana”, una rivoluzione che sarà per la sessualità ciò che la rivoluzione copernicana fu per l’astronomia: un rovesciamento assoluto di prospettiva” (p. 199).
Dopo aver delineato la tradizionale teologia del matrimonio, per come veniva impostata già ai tempi in cui Karol Wojtyla era un giovane attore, Semen espone i limiti che si incontravano in campo pastorale nel porgere la dottrina di sempre in un modo che però, con il trascorrere del tempo, rischiava di essere sempre meno adeguato (cap I: Giovanni Paolo II: un inedito approccio alla sessualità, pp. 19-64). In questo contesto nasce e si sviluppa l’idea del giovane sacerdote, poi porporato polacco, di ripresentare in modo nuovo ed attraente la dottrina sulla sessualità umana.
Nel secondo capitolo Semen entra nel vivo della questione della sessualità cominciando con alcune considerazioni sul nostro atteggiamento riguardo la “questione” del corpo: “questione scabrosa – scrive -, dato che inevitabilmente ci fa riandare alla percezione che abbiamo del male: la spaccatura che avvertiamo in noi far le chiamate dello spirito e le pesantezze del corpo ci appare infatti come un’anomalia che non dovrebbe esistere, come una contraddizione, un male. E abbiamo il sentimento, confuso ma profondamente ancorato in noi, che la responsabilità di quest’anormale situazione vada attribuita al nostro corpo. E’ l’esperienza umana di tutti. In questa sorta di dissociazione, di spaccatura fra spirito e carne, il corpo ci appare come qualcosa di imperfetto, d’impuro, magari perfino un “errore” da cui dovremmo liberarci. (…) Insomma, molto spesso ci accade di mettere sotto accusa il corpo: il male della nostra condizione umana viene dal nostro corpo” (p. 65-66).
A questo punto il filosofo francese non si ferma ad una semplice constatazione ma, seguendo il pensiero di Giovanni Paolo II, ci suggerisce di progredire in questa analisi chiedendoci “Perché abbiamo un corpo, e perché a noi pare che questo corpo si ribelli allo spirito?” (ibid.). Infatti, afferma poco dopo, la teologia del corpo di Giovanni Paolo II “è una pedagogia che vuol farci capire il vero senso del nostro corpo”. Sul filo di questa considerazione, arricchita di profondi riferimenti ai brani dell’Antico e del Nuovo Testamento utilizzati nelle catechesi del Pontefice, l’Autore imbastisce la sua interessante e convincente trattazione riguardo il piano di Dio sulla sessualità umana (pp. 65-102).C’è da dire che lungo il suo discorso Semen fa anche importanti ed attuali riferimenti all’humus culturale di cui si nutre il modo contemporaneo di concepire la sessualità. Infatti, ci dice, quando scopriamo il sesso come essenziale componente della persona e non come un mero attributo accidentale, troviamo che “gli odierni partigiani dell’ideologia del “genere” si oppongono in modo radicale a questo modo di vedere, e fanno mostra di grande attivismo per far prevalere la loro posizione in tutti i grandi organismi (lo fecero in particolare alla conferenza del Cairo del 1994 e di Pechino del 1995), ONU compresa. Secondo il loro modo di vedere, la differenza sessuale e i rispettivi “ruoli” dell’uomo e della donna non provengono dalla natura, ma sono un prodotto delle culture, e prodotto ancora in continua evoluzione. (…) E’ un modo di vedere completamente diverso da quello che ci insegna la Genesi: qui la differenza sessuale è costitutiva della persona e la definisce in maniera essenziale. Siamo uomo o donna in tutte le dimensioni della nostra persona, perché altrimenti non potremmo essere dono. Uomo e donna, siamo della medesima umanità, ma la differenza sessuale ci identifica fin nella radice del nostro essere e ci costituisce come persona, dandoci la complementarietà necessaria per il dono di noi stessi” (pp. 87-88).
I successivi tre capitoli sono dedicati rispettivamente a: Il peccato, il desiderio e la concupiscenza (pp. 103-138), Il matrimonio, la Redenzione e la Risurrezione (pp. 139-168), ed infine La sessualità e la santità (pp. 169-198). In essi Semen analizza, nei discorsi di Giovanni Paolo II, tutti i fattori che influiscono sul significato della sessualità come dobbiamo intenderlo in pienezza. “Il peccato delle origini – dice, ad esempio – è un avvenimento fondativo, e di capitale importanza, che chiaramente delinea le frontiere tra un «prima» - il prima delle origini, della «preistoria teologica dell’uomo» - e un «dopo», il dopo dell’uomo storico, irrimediabilmente segnato dalle conseguenze di quel peccato. (…) «L’esperienza del corpo quel possiamo desumere dal testo arcaico di Genesi 2, 23, e più ancora di Genesi 2, 25, indica un grado di “spiritualizzazione” dell’uomo diverso da quello di cui parla lo stesso testo dopo il peccato originale (Genesi 3) e che noi conosciamo dall’esperienza dell’uomo “storico”. E’ una diversa misura di “spiritualizzazione”, che comporta un'altra composizione delle forze dell’uomo stesso, quasi un altro rapporto corpo-anima, altre proporzioni interne tra la sensitività, la spiritualità, l’affettività, cioè un altro grado di sensibilità interiore verso i doni dello Spirito Santo (Giovanni Paolo II, Udienza del 13 febbraio 1980, §. 2)».
Lungo queste pagine si delinea una vera e propria vocazione del corpo all’interno della quale ogni essere umano è coinvolto. Profondi e pertinenti in quest’ottica, anche i riferimenti alla vocazione al celibato (pp. 158-167), perfettamente in linea con la teologia del corpo esposta da Giovanni Paolo II: “E la vocazione del corpo resta sempre la medesima qualunque sia lo stato di vita. Può esprimersi nel matrimonio, ma s’incarna e si vive anche nel celibato voluto per il Regno dei cieli, senza che il corpo rinneghi nulla del suo significato coniugale, della sua vocazione allo sposalizio, alle nozze. Insomma, non c’è che una vocazione, cioè la vocazione al matrimonio; perché tutti siamo chiamati alle nozze, qualunque sia il nostro stato di vita. La vocazione al celibato è una forma, una modalità del matrimonio nel senso profondo della parola, perché è una modalità del dono della persona. O perlomeno è così che si deve viverlo – o accettarlo -, volendone realizzare appieno il significato umano e personale” (p. 101).
Un libro, come abbiamo detto, molto attuale, ben scritto e accessibile a tutti, che soprattutto i giovani fidanzati, i genitori di figli adolescenti e i sacerdoti troveranno molto utile per la loro formazione e l’adempimento ottimista e coerente dei compiti cui sono chiamati.
(da F. Romano, pubblicato in Studi Cattolici, n. 555, maggio 2007, pp 410-411)
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