13 nov 2007

Save the trainers (1): Riconoscere, credere e realizzarsi nel proprio ruolo

Per chi si occupa di formazione giovanile oggi è abbastanza scontato notare che l’emergenza formativa attualmente non sono “i giovani” ma gli adulti coinvolti nel lavoro formativo.
Genitori ansiosi, maestri stressati, insegnanti insoddisfatti sono il chiaro segno che formare nell’epoca della frammentarietà ha dei costi altissimi nei trainers, appunto. Mentre i giovani – che pure non se la passano splendidamente e di cui altrove si parlerà – hanno come un antidoto segreto che in qualche modo (non sempre, ovvio) li tiene a galla e li porta in salvo.

Cosa si può fare per i trainers (genitori, educatori, formatori e affini)? Senz’altro pare sempre più necessario coltivare un abituale atteggiamento di studio. Libri e articoli? Non solo; farsi domande, confrontare opinioni, rifuggire la banalità e l’eccessiva sicurezza nei propri metodi e nei propri approcci (“ai miei tempi…”, “io alla sua età…” etc.). Inoltre si possono cominciare ad analizzare i fattori-pilastro, le guidelines, che si tengono in considerazione a partire dal proprio know-how per vedere se sono proprio in sintonia con l’'equipaggiamento' richiesto dal contesto attuale. E’ quello che ci proponiamo di fare in questo Blog.

Una prima cosa importante per il formatore è riconoscere il proprio ruolo. C’è una definizione di principio di sussidiarietà che lo incornicia come quella ragione per cui un’entità superiore interviene in aiuto dell’entità inferiore solo quando quest’ultima, messe in opera tutte le sue risorse non riesce a raggiungere i propri obiettivi. E’ frequente vedere formatori che bistrattano puntualmente, senza rendersene, conto il principio di sussidiarietà. Allora si vedono maestri che fanno i genitori in classe e genitori che montano in cattedra in famiglia o giudicano l’operato dei docenti, sacerdoti che fanno da grandi organizzatori di eventi o tourleader ed educatori che si trovano ad indossare le vesti dei “grandi saggi”, capi-scout che fanno da padri e papà che fanno i capi-scout, insegnanti che fanno da coach spiritual-esistenziali e psicologi che rischiano di fare da tutor accademici. Perché? Forse per l’incapacità di riconoscere e credere nel proprio ruolo.

Caratteristica fondamentale del formatore è promuovere il sorgere di personalità libere capaci di risposte inedite.

Per fare ciò il formatore dovrebbe sempre:

a) capire le potenzialità ed i limiti del suo ruolo (attenersi a ciò che gli è richiesto e riconoscere i limiti delle sue mansioni, ciò a cui non può arrivare e che è dannoso che intenti; questo vale per tutti: genitori, insegnanti, sacerdoti, educatori),

b) essere molto distaccato dal risultato della sua azione educativa a rischio anche di sembrare superficiale e distratto: farsi da parte, non credersi indispensabile. Questo più che mai oggi, quando, con gli enormi problemi di libertà interiore (ne parleremo) che si riscontrano nel lavoro formativo è molto prossimo il rischio di (de)formare a propria immagine e somiglianza il giovane assediato dalle aspettative dei suoi molti formatori.

Questo evita che il formatore prenda il risultato del proprio lavoro/ruolo come cartina di tornasole per valutare la propria “significatività” esistenziale. In questo modo infatti darebbe anche l'impressione al giovane che il suo giudizio (una correzione, un voto, un dovere ricordato), sia come un giudizio sulla vita intera della persona. Ovvio che questo non lo vuole nessuno, ma si dice ciò che l'altro ha capito più che quello che si è detto (e questo con i giovani è più che un postulato).

Il non comprendere il proprio ruolo - poggiandosi e lavorando in squadra con altre figure formative, ovviamente - farebbe correre il rischio di cercare nei risultati dei propri sforzi (a volte titanici). Cercare il consenso, e quindi la gratificazione, come fine è sempre qualcosa di errato (la felicità sta nell’essere e non nell’avere come direbbe anche E. Fromm); nel lavoro educativo diventa proprio incompatibile e contraddittorio con la mens che lo anima.

3 commenti:

  1. ...verissimo e... difficile. perchè in una società basata sui risultati anche il formatore rischia di valutare se stesso -e, non neghiamolo, di essere valutato- sulla base dei risultati. (Questo peraltro trasforma la formazione-educazione in addestramento!). Come si formano i formatori? forse il contenuto di una disciplina si impara all'università e poi si insegna in una scuola, ma educazione non è sinonimo di pedagogia: non c'è esame che tenga. Suggerimenti?

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  2. Difficile valutare qualuno se non dai risultati che ottiene. E questo anche in ambito formativo... Attenzione però che quando entra in gioco la libertà del destinatario, 2+2 non fà più 4 (questo è quello che più fa arrovellare genitori e formatori che ancora non hanno capito veramente che vuol dire educare nell'epoca della "transitorietà": è affascinante, ma... è dura).

    Un bel modello di formatore da questo punto di vista - più che Robin William dell'"Attimo fuggente" - è il maestro di coro del film "Les Choristes". Questi rischia fino in fondo, essendo fedele a sè stesso e indipendentemente dal risultato. Alla fine del film lo si vede forse sofferente, ma libero: è riuscito a restare sè stesso, anzi a migliorare sè stesso (oltre che ad ottenere un risultato commoventemente brillante). Questa sarebbe forse una importante "verifica": la felicità del formatore durate ed alla fine del lavoro svolto. Penso che il formatore debba muoversi in un delicato equilibrio tra il restare sè stesso e il decentrarsi (relativizzare tutto ciò che si può relativizzare: ed è tanto) a favore del soggetto che ha davanti lasciando non solo l'impressione ma la certezza che si è liberi di fronte a lui; che lui apprezza e crede nella libertà come strada di formazione.

    Come si formano i formatori? Bella domanda... Pensando alla risposta butterò giù il prossimo post... Comunque grazie mille.

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  3. questa richiesta non è necessariamente da pubblicare, è solo per far pervenire il messaggio: ma... e il famoso post sulla formazione dei formatori?

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