Original text
New blood joins this earth
and quikly he's subdued
through constant pain disgrace
the young boy learns their rules
With time the child draws in
this whipping boy done wrong
deprived of all his thoughts
the young man struggles on and on
he's known
a vow unto his own
that never from this day
his will they'll take away
What I've felt
what I've known
never shined through in what I've shown
never be
never see
won't see what might have been
what I've felt,
what I've known
never shined through in what I've shown
never free
never me
so I dub thee unforgiven
They dedicate their lives
to running all of his
he tries to please them all
this bitter man he is
throughout his life
the same he's battled
constantly this fight he cannot win
a tired man they see
no longer cares the old man
then prepares to die regretfully
that old man here is me
What I've felt
what I've known
….. (Instrumental)
What I've felt
what I've known …..
never free never me
so I dub thee unforgiven
You labeled me
I'll label you
so I dub the unforgiven (x2)
Italian Translation
Sangue fresco raggiunge questa Terra
E in breve è sottomesso
Attraverso la costante e gravosa disgrazia
Il ragazzino impara le loro regole
Col tempo il bambino è assorbito
Capro espiatorio di torti altrui
Privato di tutti i suoi pensieri
Il giovane continua a lottare,è risaputo
Un giuramento a se stesso
Che mai d'ora in poi
Gli porteranno via la sua volontà
Quello che ho provato Quello che ho conosciuto
Non è mai brillato in quello che ho mostrato
Non lo è mai stato
Non si è mai visto
Non saprai mai ciò che avrebbe potuto essere
Quello che ho provato, quello che ho conosciuto
Non è mai brillato in quello che ho mostrato
Mai stato libero
Mai stato me stesso
Quindi ti ho definito l'imperdonato
Dedicano le loro vite
A occuparsi della sua
Lui tenta di compiacerli tutti
L'uomo amareggiato che è
Per tutta la sua vita sempre lo stesso
Ha costantemente combattuto
Questa battaglia che non può vincere
Lo considerano un uomo stanco cui non importa più
Il vecchio che si prepara
A morire pieno di rimpianti
Quel vecchio sono io
Quello che ho provato
Quello che ho conosciuto
…..
(Instrumental)
Quello che ho provato Quello che ho conosciuto
…..
Mai stato libero
Mai stato me stesso
Quindi ti ho definito l'imperdonato
Mi hai etichettato
E io ti etichetterò
Quindi ti ho definito l'imperdonato (x2)
COMMENT
Il pezzo costituisce una delle famose ballate dei Metallica che per il resto della loro produzione si esprimono prevalentemente attraverso altri generi di rock. Quella narrata è la storia di un ragazzo (New blood) che cresce cercando di stare all’altezza delle aspettative degli altri: essere ad immagine e somiglianza di quelli che mi “vogliono bene”, non far loro dispiacere, accontentarli tutti (he tries to please them all). Non coglie che libero e felice lo sarà solo se agisce personalmente e responsabilmente, e si sente costretto a stare al loro gioco (the young boy learns their rules). Allora fa un patto con se stesso (volontà) e si tiene dentro (incomunicabilità) la verità su sé stesso: Quello che ho provato/ Quello che ho conosciuto/ Non è mai brillato in quello che ho mostrato/ Non lo è mai stato/ Non si è mai visto / Non saprai mai ciò che avrebbe potuto essere/
Questo meccanismo di difesa però lo porta ad un agire non-libero e quindi a ridursi, col passare del tempo, ad essere un vecchio e cadente: quell’uomo sono io. Questo non me lo perdonerò mai: mi hanno “ridotto” in questo stato e allora visto che mi hanno etichettato Unforgiven (= l’imperdonato) allora anch’io li etichetterò: non li perdonerò mai. Viene dipinto con tinte di rara efficacia il rapporto Intimità-Libertà-relazionalità. Questo nesso quando stravolto e non rispettato porta ai conflitti più profondi. L’ascoltatore trarrà molte altre considerazioni ascoltando il brano più volte.
Il ragazzo, continuamente sottoposto ad un implicito ricatto emotivo, è deprived of all his thoughts (privato di tutti i suoi pensieri) e ricorda il protagonista – Pink – di The Wall. Anche lì il giovane è strapazzato da regole, formalismi e professori intransigenti e martellanti. L’assente padre e la mamma iperaffettiva completano l’opera e fanno del ragazzo un fantoccio represso pieno di dubbi ed incertezze. E’ il rischio di ogni formatore: una persona è un essere delicatissimo e, a volte, i suoi peggiori problemi possono venire dalle sue migliori qualità se incontra persone rozze che ne “manomettono” il meccanismo – per intenderci – che lo dovrebbe portare invece all’autorealizzazione.
Vero formatore è colui che crea personalità originali capaci di dare risposte inedite. Non basta una grande e volenterosa dedizione (dedicano le loro vite/ a occuparsi della sua): ci vuole un amore forte e disinteressato, capace di gioire del fatto che chi si è formato cammini per sentieri nuovi e “imprevisti” dal genitore/maestro/formatore. E’ urgente per le nuove generazioni trovare simili aiuti. E’ urgente per il mondo che si formino uomini liberi. D’altronde è difficile che un padre non si proietti nel figlio o che una madre non lo riempia dei suoi timori. Questi difetti si compensano ed il loro effetto viene annullato solo in una famiglia equilibrata dove ognuno è presente e sa fare il suo ruolo con spirito di sacrificio e visione d’insieme. Gran parte poi spetta agli amici e a tutto il resto dell’ambito affettivo, importantissimo nel far giungere a piena maturazione la personalità nascente.
Il ritornello What I've felt/ what I've known / never shined through in what I've shown ricorda il posto dentro te in cui fa freddo / è il posto in cui nessuno è entrato mai di Quella che non sei. L’ennesimo richiamo allo sviluppo della intimità costitutiva, scrigno della libertà dell’individuo, che nei giovani va stimolata e che è la sorgente della creatività e dell’originalità delle risposte personali che non possono essere date da altri. Ognuno è insostituibile nella scelta del proprio stile di vita ed è un grave errore demandare ad altri queste scelte, recriminando poi che non ce le hanno fatte fare. In un certo senso, siamo genitori delle nostre vite ( Gregorio di Nissa).
Il blog nasce per raccogliere commenti, osservazioni e scambi di vedute intorno o a partire dalle tematiche di "Figli di questo tempo. Riflessioni sui rapporti affettivi tra ragazzo e ragazza" (F. Romano,ed. SBC Ravenna 2007)
29 mag 2008
High Anthropological Density Music (HANDEM)
Handem è quella parte di Starlight che raccoglie testi musicali ad alta densità antropologica.
Alcuni testi di alcuni artisti riflettono in modo specialmente penetrante, accattivante ed espressivo uno stato d’animo, una situazione, una verità sull’uomo contemporaneo sulla quale può essere molto bello soffermarsi a riflettere.
Siccome abitualmente non è questo il punto di vista dal quale ascoltiamo la musica – ma è piuttosto per rilassarci, per distrarci, per non-pensare… per “evadere” – con questa raccolta si vuole lanciare la provocazione di pensare la musica…
Così - con l’aiuto delle traduzioni e ascoltando sempre il brano mentre se ne legge il testo - si riscoprono pezzi sui quali forse si era passati un po’ frettolosamente e se ne scopre un riflesso profondo.
In questo modo si gusta meglio la musica, si gusta meglio anche ciò che si vive, e la vita - affetti, situazioni, vision del mondo o delle persone - si apprezza ad una “profondità” maggiore; grazie alla musica. E al pensiero.
Alcuni testi di alcuni artisti riflettono in modo specialmente penetrante, accattivante ed espressivo uno stato d’animo, una situazione, una verità sull’uomo contemporaneo sulla quale può essere molto bello soffermarsi a riflettere.
Siccome abitualmente non è questo il punto di vista dal quale ascoltiamo la musica – ma è piuttosto per rilassarci, per distrarci, per non-pensare… per “evadere” – con questa raccolta si vuole lanciare la provocazione di pensare la musica…
Così - con l’aiuto delle traduzioni e ascoltando sempre il brano mentre se ne legge il testo - si riscoprono pezzi sui quali forse si era passati un po’ frettolosamente e se ne scopre un riflesso profondo.
In questo modo si gusta meglio la musica, si gusta meglio anche ciò che si vive, e la vita - affetti, situazioni, vision del mondo o delle persone - si apprezza ad una “profondità” maggiore; grazie alla musica. E al pensiero.
28 mag 2008
EDUCAZIONE, ETICA, FAMIGLIA & SCUOLA
tratto da: www.famigliaescuola.it/
Oggi è frequente incontrare persone (genitori, alunni, insegnanti…) che, guardando all’azione della scuola, intendono la conoscenza in senso prevalentemente estensivo. Ritengono cioè che l’importante sia conoscere “molte cose”.
Non mancano però gli assertori di una prospettiva che privilegi invece “la lettura di poche cose, ma veramente essenziali”.
Il consiglio che qui ci sentiamo di offrire è quello di rifuggire la frenesia dell’informazione. Di rivalutare l’aspetto “qualitativo” della conoscenza, puntando ad approfondire ciò che le cose sono.
Risulta logico quindi che la persona, più che informata e resa capace di svolgere un’attività utilitaristica, vada educata. Non si tratta di addomesticare o addestrare l’alunno, limitandosi a riempirlo di dati. Bensì di aiutarlo a sviluppare solide virtù intellettuali e morali, finalizzate al bene. E questo, appellandosi alla sua intelligenza e alla sua libertà.
In questa prospettiva, è auspicabile che il docente miri a risvegliare nei propri alunni un autentico interesse per ciò che è buono, evitando che si polarizzino eccessivamente su conoscenze di tipo tecnico, la cui utilità è facilmente percepita quando si punta ad una buona resa economica del proprio lavoro.
L’alunno dovrebbe comprendere che quanto sta facendo è molto di più che ottenere un titolo di studio che lo abiliterà a svolgere una funzione nell’ingranaggio sociale. Egli sta cercando di acquisire la maturità umana. A questo scopo anche le scienze settoriali sono utili, perché sono al servizio della sapienza, che è al servizio del bene.
Il docente dovrebbe aiutare l’alunno (e i genitori) a evitare certi equivoci oggi molto frequenti:
- confondere il concetto di verità con quello di certezza;
- intendere il bene come sinonimo di piacere;
- vedere la libertà come una forma di irresponsabilità;
- intendere il valore (ciò che è buono in sé e per sé) come utilità.
Premesso dunque che la missione essenziale degli insegnanti è l’educazione, come aiuto allo sviluppo armonioso della persona nella sua integrità, occorre sottolineare che però il luogo primordiale di tale educazione è la famiglia.
Nella famiglia, che precede lo Stato e le altre forme di organizzazione sociale, i primi educatori sono i genitori (e, in via derivata, i fratelli e le sorelle). La natura dota i genitori della qualità più importante per educare: l’amore. Un amore che deve diventare anche riflessivo, volontario, libero.
L’amore verso l’altro in quanto altro è la fonte di ogni azione educativa. E’ difficile accettare di essere educati da chi non ci vuole bene. Così come la natura dota i genitori di questa naturale autorità, dota i figli della corrispondente docilità spontanea.
Intendendo per amore un atto di libertà, una scelta generosa grazie alla quale si vuole il bene dell’altro, si può dire che anche i docenti – se hanno una reale vocazione educativa – posseggono una sorta di amore spontaneo verso i propri alunni, un amore che , anche qui, deve diventare pienamente etico.
Un grave ostacolo alla legittima educazione della persona è costituito da un’irresponsabile abdicazione dei genitori al loro diritto-dovere educativo. Ciò può verificarsi per ignoranza, per mancanza di preparazione (da vari punti di vista), per egoismo, per pressioni esterne (un lavoro troppo assorbente, uno Stato invadente ecc.).
Nei rapporti con la scuola, i genitori non hanno il compito di aiutare i docenti a portarla avanti, ma sono i docenti che devono aiutare i genitori a portare avanti la famiglia in quell’aspetto essenziale dei loro doveri che è l’educazione dei figli. La scuola e i docenti, quindi, si trovano a entrare in una sfera familiare, perché la famiglia è l’ambito naturale in cui la missione educativa deve primariamente compiersi. In qualche modo, sotto questo aspetto, la scuola è un’estensione della famiglia. Questa comunque non deve, né ha la competenza per farlo, interferire arbitrariamente con il funzionamento della scuola, anche se questa adempie una funzione sussidiaria per loro incarico.
Per la sua peculiare funzione, la scuola non è un’impresa che presta determinati servizi (educazione dei figli) in cambio di certi benefici economici.
Ciascuno degli alunni è una persona, (che va rispettata in quanto tale, qualunque sia la sua situazione di salute, di cultura, di censo). Ciascuno dei docenti è una persona, che aiuta i genitori a compiere rettamente il loro dovere di educare i figli. Tra genitori, docenti e alunni si crea una relazione personale, di solidarietà, di comunione e di cordiale collaborazione. Queste sono condizioni necessarie per un efficace lavoro educativo.
(Cfr. Carlos Cardona, Etica del lavoro educativo, Ed. Ares, Milano 1991)
Oggi è frequente incontrare persone (genitori, alunni, insegnanti…) che, guardando all’azione della scuola, intendono la conoscenza in senso prevalentemente estensivo. Ritengono cioè che l’importante sia conoscere “molte cose”.
Non mancano però gli assertori di una prospettiva che privilegi invece “la lettura di poche cose, ma veramente essenziali”.
Il consiglio che qui ci sentiamo di offrire è quello di rifuggire la frenesia dell’informazione. Di rivalutare l’aspetto “qualitativo” della conoscenza, puntando ad approfondire ciò che le cose sono.
Risulta logico quindi che la persona, più che informata e resa capace di svolgere un’attività utilitaristica, vada educata. Non si tratta di addomesticare o addestrare l’alunno, limitandosi a riempirlo di dati. Bensì di aiutarlo a sviluppare solide virtù intellettuali e morali, finalizzate al bene. E questo, appellandosi alla sua intelligenza e alla sua libertà.
In questa prospettiva, è auspicabile che il docente miri a risvegliare nei propri alunni un autentico interesse per ciò che è buono, evitando che si polarizzino eccessivamente su conoscenze di tipo tecnico, la cui utilità è facilmente percepita quando si punta ad una buona resa economica del proprio lavoro.
L’alunno dovrebbe comprendere che quanto sta facendo è molto di più che ottenere un titolo di studio che lo abiliterà a svolgere una funzione nell’ingranaggio sociale. Egli sta cercando di acquisire la maturità umana. A questo scopo anche le scienze settoriali sono utili, perché sono al servizio della sapienza, che è al servizio del bene.
Il docente dovrebbe aiutare l’alunno (e i genitori) a evitare certi equivoci oggi molto frequenti:
- confondere il concetto di verità con quello di certezza;
- intendere il bene come sinonimo di piacere;
- vedere la libertà come una forma di irresponsabilità;
- intendere il valore (ciò che è buono in sé e per sé) come utilità.
Premesso dunque che la missione essenziale degli insegnanti è l’educazione, come aiuto allo sviluppo armonioso della persona nella sua integrità, occorre sottolineare che però il luogo primordiale di tale educazione è la famiglia.
Nella famiglia, che precede lo Stato e le altre forme di organizzazione sociale, i primi educatori sono i genitori (e, in via derivata, i fratelli e le sorelle). La natura dota i genitori della qualità più importante per educare: l’amore. Un amore che deve diventare anche riflessivo, volontario, libero.
L’amore verso l’altro in quanto altro è la fonte di ogni azione educativa. E’ difficile accettare di essere educati da chi non ci vuole bene. Così come la natura dota i genitori di questa naturale autorità, dota i figli della corrispondente docilità spontanea.
Intendendo per amore un atto di libertà, una scelta generosa grazie alla quale si vuole il bene dell’altro, si può dire che anche i docenti – se hanno una reale vocazione educativa – posseggono una sorta di amore spontaneo verso i propri alunni, un amore che , anche qui, deve diventare pienamente etico.
Un grave ostacolo alla legittima educazione della persona è costituito da un’irresponsabile abdicazione dei genitori al loro diritto-dovere educativo. Ciò può verificarsi per ignoranza, per mancanza di preparazione (da vari punti di vista), per egoismo, per pressioni esterne (un lavoro troppo assorbente, uno Stato invadente ecc.).
Nei rapporti con la scuola, i genitori non hanno il compito di aiutare i docenti a portarla avanti, ma sono i docenti che devono aiutare i genitori a portare avanti la famiglia in quell’aspetto essenziale dei loro doveri che è l’educazione dei figli. La scuola e i docenti, quindi, si trovano a entrare in una sfera familiare, perché la famiglia è l’ambito naturale in cui la missione educativa deve primariamente compiersi. In qualche modo, sotto questo aspetto, la scuola è un’estensione della famiglia. Questa comunque non deve, né ha la competenza per farlo, interferire arbitrariamente con il funzionamento della scuola, anche se questa adempie una funzione sussidiaria per loro incarico.
Per la sua peculiare funzione, la scuola non è un’impresa che presta determinati servizi (educazione dei figli) in cambio di certi benefici economici.
Ciascuno degli alunni è una persona, (che va rispettata in quanto tale, qualunque sia la sua situazione di salute, di cultura, di censo). Ciascuno dei docenti è una persona, che aiuta i genitori a compiere rettamente il loro dovere di educare i figli. Tra genitori, docenti e alunni si crea una relazione personale, di solidarietà, di comunione e di cordiale collaborazione. Queste sono condizioni necessarie per un efficace lavoro educativo.
(Cfr. Carlos Cardona, Etica del lavoro educativo, Ed. Ares, Milano 1991)
24 mag 2008
FAMIGLIA E GENERAZIONI/2: i giovani e gli anziani
tratto dalla Relazione di Alessandro Rosina alla Conferenza Nazionale della Famiglia di Firenze, 24-26 maggio 2007
(da http://www.documentazione.info/article.php?idsez=12&id=402)
Instabilità, salari bassi e affitti onerosi.
Gli ultra 65enni nel 2040 saranno oltre il 30%.I giovani tardano ad uscire dalla casa dei genitori Un altro aspetto particolare della situazione italiana è la tarda uscita dei giovani dalla casa dei genitori. Gli italiani fanno pochi figli, ma i figli rimangono figli più a lungo. Nei paesi scandinavi la maggioranza dei giovani esce dalla casa dei genitori poco dopo il raggiungimento della maggiore età. In gran parte d’Europa, all’età di 25 anni sono già la minoranza quelli che non hanno ancora conquistato una propria autonomia. Nel nostro paese, invece, oramai la norma è rimanere a vivere con i genitori fin oltre i 30 anni. Il paese con la quota più bassa di giovani che vivono in coppia Strettamente collegata alla lunga permanenza dei giovani nella famiglia di origine è la bassa quota di giovani che “hanno messo su casa”. L’Italia è, all’interno dell’UE15, il paese con la quota più bassa di giovani che vivono in coppia. Poco più di dieci anni fa nella fascia d’età 25-35 erano oltre la metà le donne in coppia con figli, ora sono a malapena una su tre. Per gli uomini si è passati da un terzo ad un quinto. La tardiva età di conquista di una propria autonomia e di inizio formazione di una propria famiglia riducono i margini di realizzazione dei desideri riproduttivi, e formano un quadro coerente con la persistente bassa fecondità.
Fattori culturali
Anche le cause delle lunga permanenza dei giovani italiani nella famiglia di origine rimandano ad un complesso mix di aspetti culturali da un lato e di fattori strutturali ed economici dall’altro. Come abbiamo già avuto modo di dire, il rapporto tra genitori e figli ha una natura diversa nell’Europa mediterranea rispetto agli altri paesi occidentali. Si dà, in particolare, molta più importanza alla solidarietà tra membri della stessa famiglia, in tutte le fasi della vita. Non solo si rimane quindi più a lungo a vivere con i genitori, ma una volta usciti, più che altrove si tende a stabilire la propria dimora in prossimità della famiglia di origine, mantenendo un intenso e continuativo flusso di contatti e di mutuo sostegno. Come vari studi hanno messo in evidenza, i legami familiari intergenerazionali tendono invece ad essere più deboli nell’Europa nord- occidentale. Il welfare affidato alla solidarietà familiareQuesta differenza è importante, perché è strettamente connessa sia al fatto che la società italiana è maggiormente centrata sulla famiglia che sull’individuo, sia al sistema di welfare, maggiormente sviluppato ed incentrato sui diritti e le esigenze dell’individuo nel Nord Europa, ed invece affidato soprattutto alla solidarietà familiare in Italia. (…)
Fattori economici
Ma oltre agli aspetti culturali e alle carenze del welfare pubblico, esistono anche importanti fattori di ordine strutturale ed economico che incidono negativamente sulla possibilità dei giovani italiani di conquistare, in età precoce, una propria autonomia. Alcuni di tali aspetti sono inoltre peggiorati sensibilmente nel tempo. Va considerato, ad esempio, che negli altri paesi occidentali, molti giovani iniziano a sperimentare una propria indipendenza già durante gli studi universitari, andando a vivere nei campus dei grandi Atenei. La distribuzione capillare delle università sul territorio italiano consente invece a molti studenti di frequentare i corsi rimanendo a vivere con i genitori(5).
Bassa occupazione
Legata alla lunga permanenza nella famiglia di origine è anche la bassa occupazione dei giovani italiani. Nella fascia tra i 25 ed i 30 anni hanno un lavoro tre persone su quattro negli altri grandi paesi europei, mentre ci si ferma a poco più dei due terzi in Italia. La differenza tra occupazione giovanile ed adulta è una delle più alte del mondo occidentale. Per chi poi un lavoro ce l’ha, i salari risultano mediamente più bassi rispetto ai coetanei inglesi, tedeschi, francesi, ed anche spagnoli. Alcuni studi di ricercatori della Banca d’Italia mostrano come in un quadro generale di moderazioni salariale, le retribuzioni medie nette mensili si sono maggiormente ridotte negli ultimi quindici anni soprattutto per i giovani lavoratori. E ciò vale per tutti i livelli di istruzione e a parità di composizione settoriale. Sistema di protezione sociale carente, affitti onerosiIl mercato del lavoro richiede anche sempre di più la disponibilità di spostarsi sul territorio per cogliere le migliori opportunità occupazionali. Ciò significa spesso allontanarsi dalla famiglia di origine ed iniziare quindi una vita autonoma. Rispetto però ad altri paesi, il sistema di protezione sociale è meno generoso (si è meno aiutati nelle fasi “scoperte” di passaggio da un lavoro all’altro), il mercato è meno dinamico (quindi meno facile trovare un nuovo lavoro), gli affitti relativamente più onerosi.
La perdita di fiducia nel futuro
In sintesi, chi è entrato nel mercato del lavoro negli ultimi dieci anni si è trovato di fronte ad un aumento dell’instabilità occupazionale, ad una maggiore necessità di mobilità sul territorio, ad una diminuzione relativa dei salari di ingresso, e ad un aumento del costo degli affitti. In questa situazione sono molti i giovani che dopo un periodo di lavoro ed autonomia fanno marcia indietro e tornano a vivere con i genitori. Si tratta di una condizione che crea frustrazione, senso di impotenza, e perdita di fiducia nella possibilità di costruire un proprio futuro. Se i nuovi tipi di contratto, inseriti con le recenti riforme del mercato del lavoro, hanno aumentato le possibilità di occupazione, in assenza di adeguati “ammortizzatori sociali” hanno anche allungato i tempi per il raggiungimento di una stabilizzazione che consenta di progettare un proprio futuro e formare una propria famiglia.
I numeri della permanenza a casa dei genitori
E’ del resto coerente con un aumento negli ultimi anni del peso dei fattori economici sull’ulteriore posticipazione dell’uscita dai giovani della casa dai genitori, il superamento storico del Sud rispetto al Nord del paese. Da sempre a rimanere più a lungo a vivere nella famiglia di origine erano soprattutto i giovani dell’Italia settentrionale. Negli ultimi anni si è prodotta invece, da questo punto di vista, un’inversione epocale. Ancora nel 1998, secondo i dati raccolti dall’indagine Istat “Famiglia e soggetti sociali”, a 30-34 anni vivevano ancora con i genitori il 33% dei giovani uomini del Nord ed il 31% del Mezzogiorno (per le donne rispettivamente il 17,5% ed il 15%). Cinque anni dopo (indagine a fine 2003) la situazione appare rovesciata: vive con i genitori il 36% dei maschi al Nord ed il 43% al Sud (per le donne rispettivamente 20% e 24%). Welfare inadeguato = minore disponibilità al rischioE’ stato detto che “protetti dal welfare si può osare di più”. La minore protezione sociale di cui godono i giovani fa percepire come più elevati, a parità di altre condizioni, i rischi di uscita nell’area mediterranea. Ciò significa anche che in molti casi si rinuncia ad un lavoro instabile, preferendo attendere opportunità (quantomeno un po’) migliori rimanendo disoccupati nella famiglia di origine. La mancanza di adeguati ammortizzatori sociali contribuisce quindi a rendere meno dinamico il mercato e relativamente bassa l’occupazione, e penalizza quindi nel complesso lo sviluppo economico e sociale del paese. Va infine anche segnalato come un modello di welfare, come quello italiano, che affida quasi esclusivamente alla famiglia di origine i compiti di aiuto ai giovani in difficoltà si riveli essere fortemente iniquo. Sono infatti svantaggiati i giovani che provengono da famiglie con status socio- culturale più basso e minori risorse economiche.
Si investe poco sui giovani, aumentano gli anziani
Ma se l’Italia è un paese che finora ha scarsamente investito sui giovani (e quindi anche sul proprio futuro), tutto ciò potrebbe ulteriormente peggiorare nei prossimi anni. Il crescente invecchiamento è destinato ad assorbire risorse (per previdenza e salute pubblica) all’interno di una spesa sociale già eccessivamente sbilanciata a favore delle generazioni più anziane, e quindi a comprimere le possibilità di investimento e protezione dai rischi verso le più giovani. Una classe dirigente anzianaAd aggravare ulteriormente il quadro è il fatto che la classe dirigente italiana, specialmente quella politica (ma non solo, si pensi ad esempio anche ai docenti universitari), è già attualmente connotata da un’età media particolarmente elevata. L’invecchiamento rischia di accentuare questo aspetto (e quindi i rischi di gerontocrazia). L’elettorato giovanile è del resto destinato ad avere un peso sempre meno rilevante nei prossimi decenni, e quindi l’agenda politica ad essere maggiormente sensibile alle istanze e necessità del crescente elettorato anziano. Tutto ciò solleva la questione di come potrà evolversi il sistema di rischi ed opportunità dei giovani in una società di anziani (nei prossimi 20 anni gli over 50 diventeranno maggioritari), del tutto inedita nella storia dell’umanità. Gli over 65 stanno per superare gli under 35 Ciò impone una riflessione sui meccanismi di rappresentanza politica e di ricambio generazionale in uno scenario nel quale i rapporti di forza tra le generazioni sono destinati a mutare profondamente. In particolare, il nostro paese sarà quello che per primo sperimenterà il sorpasso della fascia di elettorato più anziana (65 ed oltre) su quella più giovane (under 35). Evento che si sta producendo proprio in questi anni. Il divario tra tali due fasce di età è inoltre destinato nei prossimi decenni ad accentuarsi ancor più che altrove. Se attualmente la situazione è ancora di sostanziale equilibrio, entro il 2020 l’elettorato under 35 si troverà con oltre tre milioni di unità in meno rispetto a quello di 65 anni e più. Se si abbassasse a 16 anni il diritto al voto, la differenza - sempre in corrispondenza del 2020 - rimarrebbe comunque sopra i due milioni, compensando quindi solo parzialmente il divario. Se poi ci si sposta più avanti nel tempo lo squilibrio generazionale diventa imponente: se oggi il voto dei giovani ha lo stesso peso di quello degli anziani, da qui al 2045 il peso dei primi si ridurrà ad essere la metà di quello dei secondi. L’impatto delle dinamiche demografiche sarà tale che anche l’aver abbassato a 16 anni l’età al voto produrrà un’incidenza molto modesta sul divario complessivo. I dati implacabili del processo di invecchiamento in atto fanno ben capire come la scelta di far scendere a 16 anni l’età degli elettori possa avere un effetto apprezzabile solo nel breve periodo. Dato però che le elezioni sempre più spesso si vincono per pochi voti, la decisione di dare più peso all’elettorato più giovane costringerebbe forse la politica a svecchiarsi e a dedicare maggiore attenzione alle nuove generazioni. L’aumento degli anziani e la denatalitàStoricamente la quota di anziani sul totale della popolazione è sempre stata molto bassa (inferiore al 5%). Il continuo miglioramento delle condizioni di salute ha fatto notevolmente aumentare la quota di persone che sopravvivono fino all’età anziana e la durata di permanenza in tale fase della vita. Nel nostro paese l’invecchiamento della popolazione è però ulteriormente accentuato dalla persistente bassa natalità, che riduce il peso delle più giovani generazioni. Più anziani quindi, sia in senso assoluto che in senso relativo. Attualmente in Italia è over 65 una persona su cinque. Tale valore continuerà ad aumentare nei prossimi decenni fino ad arrivare al livello di uno su tre(6). Aumenteranno ancora di più gli over 80 non autosufficientiUna crescita straordinaria, mai sperimentata nella storia passata da popolazioni di entità comparabile. Ma all’interno di una popolazione che invecchia, aumenteranno ancor di più i grandi vecchi. Gli over 80, attorno ai 2,5 milioni al censimento del 2001, sono destinati a triplicarsi entro il 2050 (ovvero 5 milioni in più).
Per quanto possano continuare a migliorare le condizioni di salute, una parte comunque molto rilevante dei 5 milioni di ultra80enni in più non sarà in condizione di autosufficienza. In base ad alcune stime il numero di anziani “disabili” è destinato almeno a raddoppiare, su una popolazione italiana totale che invece diminuirà (secondo le più recenti previsioni Istat). A occuparsi degli anziani sono soprattutto le famiglie Come abbiamo già visto per le famiglie con figli e per i giovani, anche gli aspetti di criticità che riguardano la popolazione anziana interagiscono con le particolarità del sistema di welfare italiano, evidenziandone i limiti. Gli aiuti e l’assistenza agli anziani non autosufficienti vengono forniti tradizionalmente in Italia soprattutto dalla rete familiare, che sopperisce da sempre alle carenze del sistema di welfare. Tutto ciò si associa ad aspetti culturali che caratterizzano il nostro paese, che hanno a che fare anche con la prossimità abitativa tra genitori anziani e figli adulti ed il minore ricovero degli anziani in istituzione. Il ruolo centrale nella rete degli aiuti informali viene tradizionalmente svolto soprattutto dalle donne, in particolare di mezza età (le cosiddette “care givers”). (…)
Problemi legati all’assitenza agli anziani
Ma già attualmente la rete degli aiuti informali sta evidenziato segni di difficoltà. Alcuni recenti dati Istat hanno messo in luce come si siano ridotti negli ultimi anni gli aiuti informali erogati agli anziani, e si siano maggiormente concentrati sulle situazioni di particolare criticità (come la non autosufficienza). L’ulteriore peggioramento del rapporto tra anziani non autosufficienti e care givers, se non sorretto da un adeguato potenziamento da parte del sistema di welfare pubblico, rischia di portare ad una riduzione complessiva degli aiuti verso gli anziani più fragili ed economicamente più svantaggiati (quelli con maggior difficoltà a pagarsi adeguati servizi privati)(7). Le famiglie più che essere sostituite nell’aiuto ai loro cari, vorrebbero essere aiutate a reggere un carico sempre più oneroso. Anche su questo aspetto, quindi, diventa (e ancor più diventerà) cruciale la conciliazione tra lavoro femminile e attività di cura familiare (soprattutto verso i genitori anziani).
Note 5 La stessa riforma universitaria del 3+2, anziché accelerare i tempi di uscita dei giovani dal sistema universitario, sembra averne allungato la permanenza. 6 “Nei confronti con altri paesi sviluppati, non solo la quota di ultra65enni e l’indice di dipendenza degli anziani sono sensibilmente più elevati per l’Italia, ma anche gli indici di ricambio stanno ad indicare un futuro a breve di ulteriore più rapido invecchiamento sia della popolazione in età lavorativa, sia per le donne in età feconda” (G. Gesano e A. Golini, “Generazioni e invecchiamento”, in Fondazione Giovanni Agnelli e GCD-SIS (a cura di), Generazioni, famiglie, migrazioni. Pensando all’Italia di domani, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2006). 7 L’importanza del fenomeno si può leggere anche indirettamente dalle ricadute che la domanda di assistenza produce sull’immigrazione. La comunità straniera che è cresciuta di più è stata quella delle donne ucraine, aumentata di 12 volte dal 2001 ad oggi (mentre nel complesso gli stranieri sono raddoppiati).
(da http://www.documentazione.info/article.php?idsez=12&id=402)
Instabilità, salari bassi e affitti onerosi.
Gli ultra 65enni nel 2040 saranno oltre il 30%.I giovani tardano ad uscire dalla casa dei genitori Un altro aspetto particolare della situazione italiana è la tarda uscita dei giovani dalla casa dei genitori. Gli italiani fanno pochi figli, ma i figli rimangono figli più a lungo. Nei paesi scandinavi la maggioranza dei giovani esce dalla casa dei genitori poco dopo il raggiungimento della maggiore età. In gran parte d’Europa, all’età di 25 anni sono già la minoranza quelli che non hanno ancora conquistato una propria autonomia. Nel nostro paese, invece, oramai la norma è rimanere a vivere con i genitori fin oltre i 30 anni. Il paese con la quota più bassa di giovani che vivono in coppia Strettamente collegata alla lunga permanenza dei giovani nella famiglia di origine è la bassa quota di giovani che “hanno messo su casa”. L’Italia è, all’interno dell’UE15, il paese con la quota più bassa di giovani che vivono in coppia. Poco più di dieci anni fa nella fascia d’età 25-35 erano oltre la metà le donne in coppia con figli, ora sono a malapena una su tre. Per gli uomini si è passati da un terzo ad un quinto. La tardiva età di conquista di una propria autonomia e di inizio formazione di una propria famiglia riducono i margini di realizzazione dei desideri riproduttivi, e formano un quadro coerente con la persistente bassa fecondità.
Fattori culturali
Anche le cause delle lunga permanenza dei giovani italiani nella famiglia di origine rimandano ad un complesso mix di aspetti culturali da un lato e di fattori strutturali ed economici dall’altro. Come abbiamo già avuto modo di dire, il rapporto tra genitori e figli ha una natura diversa nell’Europa mediterranea rispetto agli altri paesi occidentali. Si dà, in particolare, molta più importanza alla solidarietà tra membri della stessa famiglia, in tutte le fasi della vita. Non solo si rimane quindi più a lungo a vivere con i genitori, ma una volta usciti, più che altrove si tende a stabilire la propria dimora in prossimità della famiglia di origine, mantenendo un intenso e continuativo flusso di contatti e di mutuo sostegno. Come vari studi hanno messo in evidenza, i legami familiari intergenerazionali tendono invece ad essere più deboli nell’Europa nord- occidentale. Il welfare affidato alla solidarietà familiareQuesta differenza è importante, perché è strettamente connessa sia al fatto che la società italiana è maggiormente centrata sulla famiglia che sull’individuo, sia al sistema di welfare, maggiormente sviluppato ed incentrato sui diritti e le esigenze dell’individuo nel Nord Europa, ed invece affidato soprattutto alla solidarietà familiare in Italia. (…)
Fattori economici
Ma oltre agli aspetti culturali e alle carenze del welfare pubblico, esistono anche importanti fattori di ordine strutturale ed economico che incidono negativamente sulla possibilità dei giovani italiani di conquistare, in età precoce, una propria autonomia. Alcuni di tali aspetti sono inoltre peggiorati sensibilmente nel tempo. Va considerato, ad esempio, che negli altri paesi occidentali, molti giovani iniziano a sperimentare una propria indipendenza già durante gli studi universitari, andando a vivere nei campus dei grandi Atenei. La distribuzione capillare delle università sul territorio italiano consente invece a molti studenti di frequentare i corsi rimanendo a vivere con i genitori(5).
Bassa occupazione
Legata alla lunga permanenza nella famiglia di origine è anche la bassa occupazione dei giovani italiani. Nella fascia tra i 25 ed i 30 anni hanno un lavoro tre persone su quattro negli altri grandi paesi europei, mentre ci si ferma a poco più dei due terzi in Italia. La differenza tra occupazione giovanile ed adulta è una delle più alte del mondo occidentale. Per chi poi un lavoro ce l’ha, i salari risultano mediamente più bassi rispetto ai coetanei inglesi, tedeschi, francesi, ed anche spagnoli. Alcuni studi di ricercatori della Banca d’Italia mostrano come in un quadro generale di moderazioni salariale, le retribuzioni medie nette mensili si sono maggiormente ridotte negli ultimi quindici anni soprattutto per i giovani lavoratori. E ciò vale per tutti i livelli di istruzione e a parità di composizione settoriale. Sistema di protezione sociale carente, affitti onerosiIl mercato del lavoro richiede anche sempre di più la disponibilità di spostarsi sul territorio per cogliere le migliori opportunità occupazionali. Ciò significa spesso allontanarsi dalla famiglia di origine ed iniziare quindi una vita autonoma. Rispetto però ad altri paesi, il sistema di protezione sociale è meno generoso (si è meno aiutati nelle fasi “scoperte” di passaggio da un lavoro all’altro), il mercato è meno dinamico (quindi meno facile trovare un nuovo lavoro), gli affitti relativamente più onerosi.
La perdita di fiducia nel futuro
In sintesi, chi è entrato nel mercato del lavoro negli ultimi dieci anni si è trovato di fronte ad un aumento dell’instabilità occupazionale, ad una maggiore necessità di mobilità sul territorio, ad una diminuzione relativa dei salari di ingresso, e ad un aumento del costo degli affitti. In questa situazione sono molti i giovani che dopo un periodo di lavoro ed autonomia fanno marcia indietro e tornano a vivere con i genitori. Si tratta di una condizione che crea frustrazione, senso di impotenza, e perdita di fiducia nella possibilità di costruire un proprio futuro. Se i nuovi tipi di contratto, inseriti con le recenti riforme del mercato del lavoro, hanno aumentato le possibilità di occupazione, in assenza di adeguati “ammortizzatori sociali” hanno anche allungato i tempi per il raggiungimento di una stabilizzazione che consenta di progettare un proprio futuro e formare una propria famiglia.
I numeri della permanenza a casa dei genitori
E’ del resto coerente con un aumento negli ultimi anni del peso dei fattori economici sull’ulteriore posticipazione dell’uscita dai giovani della casa dai genitori, il superamento storico del Sud rispetto al Nord del paese. Da sempre a rimanere più a lungo a vivere nella famiglia di origine erano soprattutto i giovani dell’Italia settentrionale. Negli ultimi anni si è prodotta invece, da questo punto di vista, un’inversione epocale. Ancora nel 1998, secondo i dati raccolti dall’indagine Istat “Famiglia e soggetti sociali”, a 30-34 anni vivevano ancora con i genitori il 33% dei giovani uomini del Nord ed il 31% del Mezzogiorno (per le donne rispettivamente il 17,5% ed il 15%). Cinque anni dopo (indagine a fine 2003) la situazione appare rovesciata: vive con i genitori il 36% dei maschi al Nord ed il 43% al Sud (per le donne rispettivamente 20% e 24%). Welfare inadeguato = minore disponibilità al rischioE’ stato detto che “protetti dal welfare si può osare di più”. La minore protezione sociale di cui godono i giovani fa percepire come più elevati, a parità di altre condizioni, i rischi di uscita nell’area mediterranea. Ciò significa anche che in molti casi si rinuncia ad un lavoro instabile, preferendo attendere opportunità (quantomeno un po’) migliori rimanendo disoccupati nella famiglia di origine. La mancanza di adeguati ammortizzatori sociali contribuisce quindi a rendere meno dinamico il mercato e relativamente bassa l’occupazione, e penalizza quindi nel complesso lo sviluppo economico e sociale del paese. Va infine anche segnalato come un modello di welfare, come quello italiano, che affida quasi esclusivamente alla famiglia di origine i compiti di aiuto ai giovani in difficoltà si riveli essere fortemente iniquo. Sono infatti svantaggiati i giovani che provengono da famiglie con status socio- culturale più basso e minori risorse economiche.
Si investe poco sui giovani, aumentano gli anziani
Ma se l’Italia è un paese che finora ha scarsamente investito sui giovani (e quindi anche sul proprio futuro), tutto ciò potrebbe ulteriormente peggiorare nei prossimi anni. Il crescente invecchiamento è destinato ad assorbire risorse (per previdenza e salute pubblica) all’interno di una spesa sociale già eccessivamente sbilanciata a favore delle generazioni più anziane, e quindi a comprimere le possibilità di investimento e protezione dai rischi verso le più giovani. Una classe dirigente anzianaAd aggravare ulteriormente il quadro è il fatto che la classe dirigente italiana, specialmente quella politica (ma non solo, si pensi ad esempio anche ai docenti universitari), è già attualmente connotata da un’età media particolarmente elevata. L’invecchiamento rischia di accentuare questo aspetto (e quindi i rischi di gerontocrazia). L’elettorato giovanile è del resto destinato ad avere un peso sempre meno rilevante nei prossimi decenni, e quindi l’agenda politica ad essere maggiormente sensibile alle istanze e necessità del crescente elettorato anziano. Tutto ciò solleva la questione di come potrà evolversi il sistema di rischi ed opportunità dei giovani in una società di anziani (nei prossimi 20 anni gli over 50 diventeranno maggioritari), del tutto inedita nella storia dell’umanità. Gli over 65 stanno per superare gli under 35 Ciò impone una riflessione sui meccanismi di rappresentanza politica e di ricambio generazionale in uno scenario nel quale i rapporti di forza tra le generazioni sono destinati a mutare profondamente. In particolare, il nostro paese sarà quello che per primo sperimenterà il sorpasso della fascia di elettorato più anziana (65 ed oltre) su quella più giovane (under 35). Evento che si sta producendo proprio in questi anni. Il divario tra tali due fasce di età è inoltre destinato nei prossimi decenni ad accentuarsi ancor più che altrove. Se attualmente la situazione è ancora di sostanziale equilibrio, entro il 2020 l’elettorato under 35 si troverà con oltre tre milioni di unità in meno rispetto a quello di 65 anni e più. Se si abbassasse a 16 anni il diritto al voto, la differenza - sempre in corrispondenza del 2020 - rimarrebbe comunque sopra i due milioni, compensando quindi solo parzialmente il divario. Se poi ci si sposta più avanti nel tempo lo squilibrio generazionale diventa imponente: se oggi il voto dei giovani ha lo stesso peso di quello degli anziani, da qui al 2045 il peso dei primi si ridurrà ad essere la metà di quello dei secondi. L’impatto delle dinamiche demografiche sarà tale che anche l’aver abbassato a 16 anni l’età al voto produrrà un’incidenza molto modesta sul divario complessivo. I dati implacabili del processo di invecchiamento in atto fanno ben capire come la scelta di far scendere a 16 anni l’età degli elettori possa avere un effetto apprezzabile solo nel breve periodo. Dato però che le elezioni sempre più spesso si vincono per pochi voti, la decisione di dare più peso all’elettorato più giovane costringerebbe forse la politica a svecchiarsi e a dedicare maggiore attenzione alle nuove generazioni. L’aumento degli anziani e la denatalitàStoricamente la quota di anziani sul totale della popolazione è sempre stata molto bassa (inferiore al 5%). Il continuo miglioramento delle condizioni di salute ha fatto notevolmente aumentare la quota di persone che sopravvivono fino all’età anziana e la durata di permanenza in tale fase della vita. Nel nostro paese l’invecchiamento della popolazione è però ulteriormente accentuato dalla persistente bassa natalità, che riduce il peso delle più giovani generazioni. Più anziani quindi, sia in senso assoluto che in senso relativo. Attualmente in Italia è over 65 una persona su cinque. Tale valore continuerà ad aumentare nei prossimi decenni fino ad arrivare al livello di uno su tre(6). Aumenteranno ancora di più gli over 80 non autosufficientiUna crescita straordinaria, mai sperimentata nella storia passata da popolazioni di entità comparabile. Ma all’interno di una popolazione che invecchia, aumenteranno ancor di più i grandi vecchi. Gli over 80, attorno ai 2,5 milioni al censimento del 2001, sono destinati a triplicarsi entro il 2050 (ovvero 5 milioni in più).
Per quanto possano continuare a migliorare le condizioni di salute, una parte comunque molto rilevante dei 5 milioni di ultra80enni in più non sarà in condizione di autosufficienza. In base ad alcune stime il numero di anziani “disabili” è destinato almeno a raddoppiare, su una popolazione italiana totale che invece diminuirà (secondo le più recenti previsioni Istat). A occuparsi degli anziani sono soprattutto le famiglie Come abbiamo già visto per le famiglie con figli e per i giovani, anche gli aspetti di criticità che riguardano la popolazione anziana interagiscono con le particolarità del sistema di welfare italiano, evidenziandone i limiti. Gli aiuti e l’assistenza agli anziani non autosufficienti vengono forniti tradizionalmente in Italia soprattutto dalla rete familiare, che sopperisce da sempre alle carenze del sistema di welfare. Tutto ciò si associa ad aspetti culturali che caratterizzano il nostro paese, che hanno a che fare anche con la prossimità abitativa tra genitori anziani e figli adulti ed il minore ricovero degli anziani in istituzione. Il ruolo centrale nella rete degli aiuti informali viene tradizionalmente svolto soprattutto dalle donne, in particolare di mezza età (le cosiddette “care givers”). (…)
Problemi legati all’assitenza agli anziani
Ma già attualmente la rete degli aiuti informali sta evidenziato segni di difficoltà. Alcuni recenti dati Istat hanno messo in luce come si siano ridotti negli ultimi anni gli aiuti informali erogati agli anziani, e si siano maggiormente concentrati sulle situazioni di particolare criticità (come la non autosufficienza). L’ulteriore peggioramento del rapporto tra anziani non autosufficienti e care givers, se non sorretto da un adeguato potenziamento da parte del sistema di welfare pubblico, rischia di portare ad una riduzione complessiva degli aiuti verso gli anziani più fragili ed economicamente più svantaggiati (quelli con maggior difficoltà a pagarsi adeguati servizi privati)(7). Le famiglie più che essere sostituite nell’aiuto ai loro cari, vorrebbero essere aiutate a reggere un carico sempre più oneroso. Anche su questo aspetto, quindi, diventa (e ancor più diventerà) cruciale la conciliazione tra lavoro femminile e attività di cura familiare (soprattutto verso i genitori anziani).
Note 5 La stessa riforma universitaria del 3+2, anziché accelerare i tempi di uscita dei giovani dal sistema universitario, sembra averne allungato la permanenza. 6 “Nei confronti con altri paesi sviluppati, non solo la quota di ultra65enni e l’indice di dipendenza degli anziani sono sensibilmente più elevati per l’Italia, ma anche gli indici di ricambio stanno ad indicare un futuro a breve di ulteriore più rapido invecchiamento sia della popolazione in età lavorativa, sia per le donne in età feconda” (G. Gesano e A. Golini, “Generazioni e invecchiamento”, in Fondazione Giovanni Agnelli e GCD-SIS (a cura di), Generazioni, famiglie, migrazioni. Pensando all’Italia di domani, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2006). 7 L’importanza del fenomeno si può leggere anche indirettamente dalle ricadute che la domanda di assistenza produce sull’immigrazione. La comunità straniera che è cresciuta di più è stata quella delle donne ucraine, aumentata di 12 volte dal 2001 ad oggi (mentre nel complesso gli stranieri sono raddoppiati).
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