20 nov 2007

Per avere i giovani che sognate ascoltateli, siate presenti e non trasmettete loro le vostre paure.


E' facile che ad un'uscita come quella del Corriere di oggi "Le ragazzine e il sesso: a 12 anni senza limiti" i genitori rispondano irrigidendo i loro sistemi educativi e pensando che devono stringere la cinghia e controllare maggiormente i loro figli. Ma non è questo il modo per arginare il disorientamento che regna attualmente tra gli adolescenti e i loro educatori. Viviamo in una società confusa; altrimenti dovremmo dire ipocrita, ma ipocrita è chi sa e fa al contrario, simula: quì tanti non hanno proprio idea. Ed è comprensibile: educare nell'età della complessità non è un lavoro che si improvvisa.
La soluzione la davano per esempio già nel 2002 quelli dell' Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR con un serio ed approfondito studio su L'autonomia di movimento dei bambini italiani di cui metteremo in evidenza i passaggi più importanti.
In quella sede si faceva notare che "poche decine di anni fa la mobilità di un bambino di 6-10 anni non era molto differente da quella dei suoi genitori. Oggi la mobilità dell’adulto è molto aumentata, e quella dei bambini si è ridotta notevolmente, in gran parte a causa delle automobili (Parr, 1967).
Sempre più bambini sono accompagnati a scuola da un adulto, in genere in automobile. Sempre meno bambini possono attraversare la strada da soli, recarsi da soli nei luoghi di svago, andare in bicicletta in spazi pubblici (Hillman, 1993).

La diminuzione dell'autonomia di spostamento dei bambini è un fenomeno preoccupante anche perché molte ricerche hanno evidenziato che l'acquisizione di conoscenza ambientale è influenzata dall'esperienza (Hart, 1979; Spencer e Darvizeh, 1981; Cohen e Cohen, 1985; Torell, 1990).
"Armstrong (1993), che ha studiato l'influenza della diminuzione della mobilità autonomia sullo sviluppo fisico dei bambini, ha evidenziato che il 50% delle ragazze e il 30% dei ragazzi tra i 10 e i 16 anni non compiono un percorso di dieci minuti a piedi al giorno.

La percezione dei rischi condiziona l'autonomia ed è diversa nei bambini e nei genitori. I genitori, diversamente dai loro figli, considerano gli incidenti stradali come eventi probabili e gravi (Lee e Rowe, 1994). Ampofo-Boateng e Thompson (1991, 1993) sottolineano che le limitazioni di autonomia sono dovute più alle paure dei genitori che non alle reali incapacità dei bambini. La paura di aggressioni nei confronti dei bambini è amplificata dai media con un incremento nella percezione della pericolosità dell'ambiente urbano. (Blakely, 1994 e Volpi, 2001)".

Insomma la conclusione è che "i bambini vivono tutte le loro esperienze affidati ad adulti che li controllano, li guidano, li istruiscono. Perdono così ogni possibilità di gioco che richiede libertà e possibilità di rischiare e sono condannati a lunghi periodi di solitudine (Tonucci, 1995).
Possiamo quindi sostenere che una così forte riduzione di autonomia nei bambini provoca gravi danni al loro sviluppo, da un punto di vista cognitivo, fisico e sociale".
E allora? Allora continuate a leggere il Blog che forse ci arriviamo.

13 nov 2007

Save the trainers (1): Riconoscere, credere e realizzarsi nel proprio ruolo

Per chi si occupa di formazione giovanile oggi è abbastanza scontato notare che l’emergenza formativa attualmente non sono “i giovani” ma gli adulti coinvolti nel lavoro formativo.
Genitori ansiosi, maestri stressati, insegnanti insoddisfatti sono il chiaro segno che formare nell’epoca della frammentarietà ha dei costi altissimi nei trainers, appunto. Mentre i giovani – che pure non se la passano splendidamente e di cui altrove si parlerà – hanno come un antidoto segreto che in qualche modo (non sempre, ovvio) li tiene a galla e li porta in salvo.

Cosa si può fare per i trainers (genitori, educatori, formatori e affini)? Senz’altro pare sempre più necessario coltivare un abituale atteggiamento di studio. Libri e articoli? Non solo; farsi domande, confrontare opinioni, rifuggire la banalità e l’eccessiva sicurezza nei propri metodi e nei propri approcci (“ai miei tempi…”, “io alla sua età…” etc.). Inoltre si possono cominciare ad analizzare i fattori-pilastro, le guidelines, che si tengono in considerazione a partire dal proprio know-how per vedere se sono proprio in sintonia con l’'equipaggiamento' richiesto dal contesto attuale. E’ quello che ci proponiamo di fare in questo Blog.

Una prima cosa importante per il formatore è riconoscere il proprio ruolo. C’è una definizione di principio di sussidiarietà che lo incornicia come quella ragione per cui un’entità superiore interviene in aiuto dell’entità inferiore solo quando quest’ultima, messe in opera tutte le sue risorse non riesce a raggiungere i propri obiettivi. E’ frequente vedere formatori che bistrattano puntualmente, senza rendersene, conto il principio di sussidiarietà. Allora si vedono maestri che fanno i genitori in classe e genitori che montano in cattedra in famiglia o giudicano l’operato dei docenti, sacerdoti che fanno da grandi organizzatori di eventi o tourleader ed educatori che si trovano ad indossare le vesti dei “grandi saggi”, capi-scout che fanno da padri e papà che fanno i capi-scout, insegnanti che fanno da coach spiritual-esistenziali e psicologi che rischiano di fare da tutor accademici. Perché? Forse per l’incapacità di riconoscere e credere nel proprio ruolo.

Caratteristica fondamentale del formatore è promuovere il sorgere di personalità libere capaci di risposte inedite.

Per fare ciò il formatore dovrebbe sempre:

a) capire le potenzialità ed i limiti del suo ruolo (attenersi a ciò che gli è richiesto e riconoscere i limiti delle sue mansioni, ciò a cui non può arrivare e che è dannoso che intenti; questo vale per tutti: genitori, insegnanti, sacerdoti, educatori),

b) essere molto distaccato dal risultato della sua azione educativa a rischio anche di sembrare superficiale e distratto: farsi da parte, non credersi indispensabile. Questo più che mai oggi, quando, con gli enormi problemi di libertà interiore (ne parleremo) che si riscontrano nel lavoro formativo è molto prossimo il rischio di (de)formare a propria immagine e somiglianza il giovane assediato dalle aspettative dei suoi molti formatori.

Questo evita che il formatore prenda il risultato del proprio lavoro/ruolo come cartina di tornasole per valutare la propria “significatività” esistenziale. In questo modo infatti darebbe anche l'impressione al giovane che il suo giudizio (una correzione, un voto, un dovere ricordato), sia come un giudizio sulla vita intera della persona. Ovvio che questo non lo vuole nessuno, ma si dice ciò che l'altro ha capito più che quello che si è detto (e questo con i giovani è più che un postulato).

Il non comprendere il proprio ruolo - poggiandosi e lavorando in squadra con altre figure formative, ovviamente - farebbe correre il rischio di cercare nei risultati dei propri sforzi (a volte titanici). Cercare il consenso, e quindi la gratificazione, come fine è sempre qualcosa di errato (la felicità sta nell’essere e non nell’avere come direbbe anche E. Fromm); nel lavoro educativo diventa proprio incompatibile e contraddittorio con la mens che lo anima.