Terzo episodio della saga di Jason Bourne, genialmente quanto glacialmente interpretato da Matt Dillon. Non è solo un gran bel film d’azione che 'afferra' lo spettatore, sia per l’incalzare delle scene quanto per la sensatezza della trama (“regge” decisamente meglio rispetto alle eccessive peripezie della sceneggiatura di Bourne Supremacy).
Questi giudizi positivi li possiamo leggere nel 90% delle recensioni su questo film. Quello che non si è evinto abbastanza è il risvolto antropologicamente denso della sceneggiatura. Questo ne fa un bel film in senso “pieno”.
In un mondo ossessionato dalla smania di sicurezza assistiamo ad un viraggio delle procedure della CIA. Il fascicolo segretissimo che Bourne cerca infatti, era quello di una procedura sperimentale che permetteva ai servizi “tacitamente deviati” di sbrigare in quattro e quattr’otto faccende per le quali sarebbe stato lento il ricorso al parere di Washington. La burocrazia aveva “reso indispensabile” il ricorso ad altri metodi decisamente disumani per ridurre all’impotenza i nemici degli USA: è il programma Blackbriar del Dipartimento della Difesa. Bourne evidentemente si rivela vittima e carnefice del suo stesso caso, ma non è neanche questo ciò che sorprende.
Finalmente una donna, Pamela Landy (una grande Joan Allen) ai vertici della direzione della CIA, prima si pone il problema (“non sono stata arruolata per questo”) e poi, visto che non le rimane altro da fare, invece di competere in freddezza e spietatezza, osa sfidare il pensiero maschilista di un suo parigrado (interpretato dall’esperto David Strathairn) che le grida “non giudicare le decisioni (spesso “perfettibili”) prese sul campo, tu che stai dietro una scrivania”. In tutto ciò i vertici stanno pilatescamente a guardare mentre i due si affrontano in singolar tenzone. Pamela avrà la meglio? Giudicatelo voi guardando il film.
Si stigmatizza il non-pensiero come fonte del male: il bene è legato all'accettazione della propria identità consapevolmente vissuta. Inoltre viene ben resa l’idea del genio femminile al servizio della giustizia e la capacità della donna di vedere “oltre” quello che si vede. O lo fa lei questo, o l’uomo (e il mondo) da solo non ci arriva.
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